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Cooperazione intercomunale e riordino territoriale: possibili fattori esplicativi della distribuzione delle unioni di comuni
dc.contributor.advisor | Raniolo, Francesco | |
dc.contributor.advisor | Bolgherini, Silvia | |
dc.contributor.author | Marotta, Mariano | |
dc.date.accessioned | 2019-10-30T11:43:06Z | |
dc.date.available | 2019-10-30T11:43:06Z | |
dc.date.issued | 2017 | |
dc.identifier.uri | http://hdl.handle.net/10955/1755 | |
dc.identifier.uri | https://doi.org/10.13126/unical.it/dottorati/1755 | it |
dc.description | dottorato di ricerca in Politica, cultura e sviluppo, XXIX ciclo | en_US |
dc.description.abstract | L’Italia è caratterizzata dalla presenza di numerosi comuni di piccole e piccolissime dimensioni demografiche. La letteratura in materia è ormai concorde nell’affermare che tali comuni non sono in grado di garantire il raggiungimento delle c.d. economie di scala, andando incontro a conseguenti problemi gestionali e/o a una scarsa (qualitativamente e quantitativamente) erogazione dei servizi e delle funzioni nei confronti della cittadinanza di riferimento. Avverso questa situazione, il legislatore nazionale ha intrapreso – dagli anni Novanta – una serie di strategie tendenti a ridurre il numero dei comuni di piccole dimensioni mediante il loro accorpamento. Se la best strategy è rappresentata dalla fusione, le resistenze registrate a livello locale avverso tale processo hanno portato i governi italiani succedutisi nel tempo a puntare sulle forme della cooperazione intercomunale. Tra queste, assume particolare rilievo l’unione di comuni, sulla quale – allo stato attuale – si concentra la strategia di deframmentazione comunale in atto in Italia. L’analisi dei dati appositamente raccolti per questa ricerca, ha mostrato che se in alcune regioni le unioni sono uno strumento particolarmente utilizzato, in altre – al contrario – esse stentano a far presa. Tale condizione rischia di minare l’intento del legislatore nazionale per il quale, ovviamente, la deframmentazione comunale è un obiettivo da raggiungere su tutto il territorio italiano. Per queste ragioni, obiettivo della ricerca proposta è la verifica dei possibili fattori in grado di spiegare la costituzione e/o la mancata costituzione di unioni e, inoltre, l’adesione e/o la mancata adesione dei comuni alle stesse. La letteratura in materia e una expert survey appositamente somministrata a esperti, hanno permesso di isolare tre fattori maggiormente significativi: la legislazione nazionale, la legislazione regionale e la propensione degli attori locali verso tale forma di cooperazione. Attraverso un metodo comparato e, più nello specifico, facendo ricorso alla tecnica della Qualitative Comparative Analysis, si è giunti alla conclusione che il fattore esplicativo maggiormente significativo, perché strettamente correlato alla percentuale di adesione dei comuni alle unioni, è quello legato alla propensione degli amministratori locali. I risultati ai quali si è giunti e la complessiva analisi effettuata possono restituire utili spunti, anche in ottica prescrittiva, alla strategia di riduzione dei piccoli comuni e di contestuale incentivazione delle forme associative tra comuni. | en_US |
dc.language.iso | it | en_US |
dc.subject | Unioni di comuni | en_US |
dc.subject | Riordino territoriale | en_US |
dc.subject | Cooperazione intercomunale | en_US |
dc.title | Cooperazione intercomunale e riordino territoriale: possibili fattori esplicativi della distribuzione delle unioni di comuni | en_US |
dc.type | Thesis | en_US |